Ruolo dell’acqua negli impasti

La chiave per ottenere un pane organoletticamente qualitativo? Il quantitativo di acqua contenuta in un impasto. L’acqua negli impasti, oltre ad idratare la farina svolge un ruolo molto importante in tutto il processo panario.

In chimica, l’acqua è riconosciuta con il simbolo H2O. Ciò sta a significare che una molecola di acqua si compone di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Per riempire una bottiglia avremo dunque bisogno di un quantitativo di molecole mega galattico.

Bressanini nel suo articolo dedicato mostra come vengono rappresentate le molecole d’acqua in chimica e simpaticamente, le paragona al faccione di Topolino e non ha torto.

Simona Lauri, nel suo articolo dedicato all’acqua libera e acqua legata, ci insegna a sua volta come l’acqua, funga da reagente o co-reagente per qualunque tipo di alimento, svolgendo un’azione di stabilizzazione della struttura biologica degli enzimi e delle macromolecole sensibili. L’acqua è dunque l’elemento essenziale in ogni alimento anche se spesso viene trascurata.

Per quanto riguarda un impasto di pane, viene inserita spesso a casaccio o per sfida, trascurando e non tenendo conto della precisa quantità di acqua da inserire in un impasto e che influisce anche sulla sua consistenza (DY= resa in pasta) e la riuscita del prodotto. Il risultato derivante da un eccessivo quantitativo di acqua, restituisce in pane  poco eccellente con l’aggravante, che potrà presentarsi anche con svariati difetti.

Idratando l’amido e le proteine ​​e sciogliendo i lieviti e i granuli di sale, il quantitativo di acqua è quindi, uno dei fattori “chiave” per la realizzazione ottimale di un impasto poiché oltretutto, verrà favorito lo sviluppo dell’attività enzimatica e della conseguente fermentazione.

La quantità di acqua necessaria ad un impasto è anche direttamente proporzionale alla qualità della farina impiegata e si deve altresì tener conto della tipologia di pane che si desidera realizzare. (idratando un pane all’80%, con uno sfarinato di media forza, probabilmente l’idea è quella di realizzare una ciabatta e non un pane con una struttura portante che abbia le caratteristiche di  una pagnotta o filone.

Più volte, nel sito, abbiamo visto che uno sfarinato contiene principalmente amido e proteine (oltre a enzimi, grassi, sali minerali, fibre ecc). Gli amidi presenti nella farina sotto forma di granuli spezzati (alcuni restano interi durante la macinazione) sono carboidrati o zuccheri complessi che interagiscono fortemente con le molecole d’acqua dalla quale vengono attaccati. Per questo motivo si definiscono idrosolubili, a differenza delle macromolecole intere che sono invece idrofobe. Anche alcune proteine, a loro volta, interagendo con l’acqua sono idrofile.

La durezza dell’acqua negli impasti

La durezza dell’acqua negli impasti di pane e pizza è importante. Essa viene espressa in gradi francesi (°F) e viene misurata per conoscere il contenuto di sali (carbonato di calcio e magnesio, sodio e cloro) in essa disciolti, detti residui fissi.

L’acqua viene classificata in

  • dolce (durezza < 10°F o 100 mg/L)
  • mediamente dolce o moderatamente dolce (durezza compresa tra 10 e 20°F o 100 e 200 mg/L)
  • dura (durezza >20°F 200 mg/L).

Un’acqua moderatamente dolce è la miglior soluzione per un impasto perché i sali minerali presenti, riconosciuti in etichetta in qualità di residui fissi ne rafforzano la maglia glutinica.

Se la durezza dell’acqua è troppo elevata la fermentazione subisce rallentamenti a causa della formazione di una struttura glutinica troppo rigida. In tal caso, l’utilizzo di più lievito o l’aggiunta di malto in pasta o farina maltata ad un impasto, possono contribuire a correggere questa condizione di tenacità. In caso contrario, dove la durezza dell’acqua risulta essere troppo scarsa, l’impasto si presenta assai appiccicoso e poco manipolabile. In questo frangente sarà utile abbassare l’idratazione.

Non bisogna dimenticare però che un impasto più sostenuto, contiene meno ossigeno di un impasto con più acqua (ricordate gli ioni legati al quantitativo di molecole?). Questo comporta dunque un rallentamento della lievitazione con conseguente “pallore” della crosta e ammasso della mollica, anche se apparentemente, il volume del pane è preservato.

Per quanto riguarda la shelf life (conservabilità), la morbidezza e anche le qualità organolettiche vengono influenzate dal corretto quantitativo di acqua.

Il pH e la sua influenza sugli impasti

Un fattore importante da considerare è il pH.

Essendo gli acidi responsabili del sapore e del gusto del pane, verranno neutralizzati semmai l’alcalinità dell’impasto supera il valore di  pH di 7. L’attività dei batteri del lievito e dell’acido lattico diminuisce quando l’ambiente di sviluppo diviene alcalino.

L’attività enzimatica soffre anche però, in condizioni di pH troppo elevato tant’è che un pH ottimale dovrà essere compreso tra 4,0 e 5,5, eccellente parametro anche per lieviti e batteri (paste acide comprese).

L’impiego di troppa acqua in panificazione non è una buona pratica da adottare se si desidera ottenere pagnotte ben riuscite.

Spesso, un pane molto idratato tenderà ad appiattirsi e quindi a perdere volume, la mollica può presentarsi umida, con alveoli troppo grandi e senz’altro poco soffice e non correttamente “umida” per il palato mentre la crosta, può risultare decisamente più pallida e molle.

Anche idratare troppo poco un impasto però è considerato un errore e quindi come fare?

Una corretta idratazione per la farina è la miglior soluzione. Aggiungere acqua a piccoli step ad esempio, mentre si impasta, può essere una buona pratica da considerare durante la fase di miscelazione.

Umidità questa sconosciuta

Per quanto riguarda l’umidità esistono 3 concetti diversificati, ma tutti hanno a che fare il prodotto e lo influenzano.

L’umidità è rappresentata dalla sensazione di “morbido” o “bagnato” che si ottiene al palato. È una caratteristica questa che non può essere misurata con analisi chimiche o fisiche ma è soggetta ad una valutazione sensoriale e personale. Un prodotto può essere “umido” anche se poco idratato. L’olio ad esempio, quando è in bocca, restituisce una sensazione “umidità” ma non è certamente umido quanto lo è l’acqua. Quindi bisogna distinguere tra varie tipologie di “umidità”.

Il contenuto di umidità di un prodotto consiste nella quantità di acqua libera che è presente in esso. L’acqua in un alimento è presente in forme diverse ed è detta libera quando il contenuto è puro al 100% (a w).

Ad esempio, nei dolci e nei pani l’acqua si “lega” al glutine, così come ad altri derivati chimici presenti nella farina (proteine o a ingredienti speciali, aggiunti alla ricetta. Quella non è acqua libera ma sarà identificata come acqua legata.

L’acqua legata non viene facilmente rimossa da un alimento per cui, nel determinare il contenuto di umidità di un prodotto, si tiene in considerazione il contenuto di acqua libera (a w)  o quell’acqua che chimicamente parlando, non risulta “legata” ad altri ingredienti che lo compongono e che quindi, evaporando, asciuga il prodotto finito.

I funghi ad esempio, di per se contengono acqua (legata) e quindi volendo fare i funghi trifolati, non vi è alcuna necessità di aggiungerne di libera (a w).  L’acqua che espelleranno in cottura verrà in parte liberata, evaporando completamente, lasciando però al fungo il giusto grado di umidità e all’olio, la sua corposa densità.

Per comprendere meglio, facciamo l’esempio di un pane imballato ed ermeticamente sigillato.

L’aria, non potendo avere accesso al prodotto imballato, non produce alcuna influenza se non all’esterno della confezione. Dopo l’imballaggio, l’umidità presente nel prodotto e l’umidità dell’aria che lo circonda, che però è all’interno dell’imballaggio, troveranno un loro equilibrio e questo perché lo scambio di umidità tra il pane imballato e l’aria che lo circonda è praticamente assente.

Il prodotto a quel punto, nel nostro caso il pane, non sarà più in grado di disperdere umidità nell’aria che lo circonda e l’aria a sua volta smetterà di risucchiare umidità dal pane imballato fino a quando non verrà raggiunto quell’equilibrio che, se misurato in termini di umidità relativa o residua (UR = X/100), restituirà un “X” valore di a w. Quindi, se l’umidità relativa dell’aria presente nel pacco imballato fosse pari al 75%, il valore di a w del prodotto sarebbe = 0,75.

Due fattori quindi svolgono un ruolo importante

  • l’umidità del prodotto: un biscotto o un cracker perderà molto poco o non c’è acqua in modo che il valore a w sarà basso.
  • la temperatura con la quale il prodotto è immagazzinato: maggiore è la temperatura, più l’aria si asciuga e più umidità viene aspirata dal prodotto

Da alcuni studi di laboratorio è stato scoperto che nei prodotti con valore di a w inferiore a 0,9 non vi è sviluppo di batteri e se inferiore a 0,75 non vi è sviluppo di muffe. Per questo motivo, alcuni prodotti possono mantenere una durata di conservazione di 6 mesi senza ammuffire.

Fonti: Noël Haegens, Dario Bressanini, Simona Lauri.

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