Temperature e formule in panificazione

Le temperature in panificazione giocano un ruolo molto importante per la riuscita o meno di un buon prodotto da forno perché quando si prepara un impasto, mettiamo in moto un meccanismo fermentativo svolto da lieviti e batteri, molto sensibile alla temperatura per la loro riproduzione.

C’è da premettere che lieviti e batteri rispondono abbastanza bene a temperature che variano da 20°C a 28/30°C. Al di sotto di questi range, la fermentazione rallenta e arriva fino quasi a bloccarsi completamente quando l’impasto fermenta al di sotto dei 5°C. Sopra i 30°C la fermentazione risulterebbe invece abbastanza inappropriata, con conseguenti perdite di qualità organolettica per il prodotto finito.

h2O

Come si fa dunque per ottenere un accettabile punto di pasta?

Innanzitutto bisogna considerare la tipologia di impasto che andremo a fare ma non solo quello, ossia se diretto o indiretto, diretto lungo o corto e così via. Il metodo diretto prevede la miscelazione simultanea di tutti gli ingredienti primari, generalmente farina, acqua, lievito e sale; il metodo indiretto  prevede invece un impasto lungo o corto preventivo detto preimpasto o prefermento al quale si sussegue un impasto finale (biga, poolish, riporto o madre acida). A seconda dunque della tipologia di prodotto che si deciderà di realizzare, è necessario di tenere conto della temperatura ambientale di lievitazione/maturazione, optando per un’adeguata scelta della farina e una corretta misurazione della temperatura dell’acqua per la chiusura o “uscita” dell’impasto dalla macchina impastatrice o impasto manuale.

Per un impasto di consistenza morbida la temperatura ideale potrebbe essere indicativamente di circa 25°C; 27°C per un impasto molle e 23°C per un impasto di consistenza asciutta che generalmente necessita di ulteriori manipolazioni come ad esempio la cilindratura (rosette, biove, crocette, mantovane ecc).

Uscendo con un’impasto troppo freddo si va incontro a problematiche di rallentamento della fermentazione, ritardando conseguentemente la lievitazione ovvero l’aumento di volume dell’impasto. Un impasto surriscaldato comporta invece una debolezza o addirittura uno strappo alla maglia glutinica, un’accelerata fermentazione e un prodotto finito non proprio qualitativo dal punto di vista organolettico. Questo accade anche a causa di un’elevata attività enzimatica e l’impasto, a quel punto, tenderà a liquefarsi abbassando notevolmente il pH e divenendo troppo acido con scarsa resa finale.

Il valore della temperatura finale di ogni impasto si associa a questi parametri:

  • temperatura dell’ambiente
  • temperatura della farina (da misurare)
  • temperatura dell’acqua
  • parametro di riscaldamento meccanico dato dal tipo di impastatrice (Vedi ampliamento articolo qui).

Tipo di impastatrice____________Metodo diretto___________Metodo indiretto
Spirale________________________ 5 – 6°C____________________9 – 10°C
Braccia tuffanti _________________ 4 – 5°C____________________7- 9°C
Forcella_______________________ 0 – 3°C____________________3°C
Manuale_______________________0 – 1°C
(fonte: Gabriele Raimondi)

Operata dunque la scelta della temperatura di chiusura impasto, ad esempio su un impasto diretto, si dovrà moltiplicare la temperatura desiderata per 3 e al valore risultante andranno sottratte la temperatura della farina, quella dell’ambiente e la temperatura meccanica (macchina impastatrice o impasto manuale).

Ad esempio: se volessimo operare un impasto a media consistenza e uscire con esso a 26°C tenendo conto che potremmo avere 28°C di temperatura ambientale, 27°C di temperatura farina e 1°C di temperatura meccanica (impasto manuale) manuale, il calcolo da fare sarà: 26 X 3 – 28 – 27 – 1 = 22°C (temperatura acqua per l’impasto).

La formazione di un impasto è una delle fasi più delicate e oltre alle temperature è associata alle farine e a quanto resistono allo sforzo meccanico (stabilità). Con farine deboli, poco qualitative o comunque poco panificabili e fino a un W 220 è necessario impastare pochi minuti mentre invece con farine ad alto valore proteico, la durata dell’impasto si protrae per tempi maggiori. Il tasso di estrazione e quindi la granulometria della farina determina invece il tempo di assorbimento dei liquidi (acqua, latte ecc); granulometria sottile = minor tempo di assorbimento e viceversa. A questo si aggiunge anche la capacità di assorbimento che varia in base alla durezza dell’impasto. Impasti duri = tempi minori e viceversa. Chiaramente, più un impasto risulta idratato e più la sua attività fermentativa sarà abbreviata e viceversa.

Durante la fase di impastamento avviene dunque un processo chimico originato dall’energia meccanica che viene trasmessa all’impasto dove si innesca un processo che dà luogo allo sviluppo della rete o maglia glutinica in grado di trattenere i gas. La fase di impasto è breve ed è proprio in questa fase, definita respiratoria o aerobica, che l’ossigeno generato favorisce la veloce riproduzione di batteri e lieviti (proliferazione). Successivamente, quando lieviti e batteri si trovano poi in fase anaerobica e quindi privi di ossigeno, smetteranno di moltiplicarsi e inizieranno a fermentare.

Formule

La regola del 55 per il calcolo della temperatura dell’acqua per una biga (con lievito di birra):

55 – temperatura di sosta della biga (fermabiga) – temperatura della farina utilizzata = temperatura dell’acqua da utilizzare.

Per la un impasto con poolish il valore della costante va da 63 a 70 al quale bisogna sottrarre la temperatura ambiente e quella della farina.

É bene sapere inoltre che per impasti duri, la temperatura di chiusura impasto non deve essere troppo elevata poiché bisogna tenere conto delle fasi successive di lavorazione. 18/20°C è un parametro più o meno ottimale se prendiamo ad esempio pani come le crocette ferraresi o le michette che necessitano di cilindratura che aumenta la temperatura di fermentazione dell’impasto.

Vademeucm

Per impasti di consistenza piuttosto molle, la temperatura di chiusura impasto si aggira tra i 24°/26°C

18°C – 20°C – 27°C – temperatura di uscita impasto. Se maggiore, è stata impiegata acqua troppo calda e inizia a lievitare. La pasta tenderà quindi a rammollire e la rete a strapparsi.

+4°C – temperatura media della cella frigorifera (TC)

36-38°C – temperatura dell’acqua in cui si scioglie il lievito secco, ma c’è anche chi sostiene di scioglierlo  a 42°C

0°- 4°C – conservazione del lievito fresco in frigorifero

20°C – temperatura ottimale dell’ambiente, anche in inverno per non raffreddare l’impasto in fase di puntata.

Fonti: Al forno di Osvy – Simona Lauri, Gabriele Raimondi

Leggi anche

Temperatura acqua impasto e fattore di attrito meccanico

 

Il presente sito web utilizza esclusivamente cookie tecnici e cookie analytics con IP totalmente anonimizzato. Per maggiori informazioni consulta la Privacy e cookie policy.